Penale Sent. Sez. 4 Num. 46194 Anno 2019 Presidente: PICCIALLI PATRIZIA Relatore: DAWAN DANIELA
Penale Sent. Sez. 4 Num. 46194 Anno 2019 Presidente:
PICCIALLI PATRIZIA Relatore: DAWAN DANIELA Data Udienza: 10/09/2019
Fatto
1. La Corte di appello di Lecce, in parziale riforma della sentenza di primo
grado, ha sostituito la pena detentiva inflitta a V.M.G. con la multa (pari ad
euro mille), confermando nel resto la pronuncia appellata.
2. L'imputato è stato ritenuto colpevole del reato cui all'art. 590, commi 1,2 e
3 cod. pen. perché, quale legale rappresentante della V.M.G. s.r.l., esercente
"lavori di manutenzione meccanica sul trasferitore a catena e piani abbassabili
PP-QQ" nel reparto Treno-Nastri 2 - zona deposito bramme 2 dello stabilimento
ILVA di Taranto, per colpa generica ed in violazione degli artt. 28, comma 2,
lett. a), 29, comma 3 e 64, d. lgs. n. 81/08, omettendo di predisporre una
procedura operativa in ordine al lavoro di manutenzione meccanica, cagionava al
lavoratore dipendente S.R. lesioni personali gravi da cui derivava un'incapacità
di attendere alle ordinarie occupazioni per un periodo di tempo superiore a
quaranta giorni. Il 17/05/2013, il S.R., intento a smontare uno spinotto del
pistone di sollevamento di un piano abbassabile, veniva investito, da un'altezza
di circa 2,5 metri, dalla caduta di una pompa idraulica manuale che gli
schiacciava la mano cagionandogli l'amputazione sub-totale del primo dito.
3. La sentenza impugnata ricorda come gli ispettori del dipartimento prevenzione
infortuni sul lavoro, intervenuti subito dopo il fatto, oltre ad aver constatato
come il luogo di lavoro fosse scarsamente illuminato, avessero rilevato che non
era stata prevista una procedura operativa adeguata a garantire la sicurezza dei
lavoratori, con specifico riferimento alla predisposizione di idonea difesa dei
posti di lavoro e di passaggio, contro la caduta e l'investimento di materiali
in dipendenza dell'attività lavorativa; e come il Piano di Sicurezza redatto
dalla V.M.G. s.r.l., in data 08/05/2013, prevedesse esclusivamente la
delimitazione con nastro di ogni area sottostante alle lavorazioni prescrivendo
che queste fossero particolarmente sorvegliate. La Corte di appello affermava
che tali previsioni non soltanto erano state disattese ma si rivelavano del
tutto generiche, di improbabile attuazione ed inidonee allo scopo, atteso che
l'apposizione del nastro non avrebbe certo evitato che venissero appoggiati
materiali o strumentazioni in quell'area. Superava le considerazioni espresse
dal primo giudice quanto all'effettività della delega attribuita a figure
professionali interne all'azienda, ritenendo che il datore di lavoro sia
comunque tenuto a controllare che il preposto, nell'esercizio dei compiti di
vigilanza affidatigli, si attenga alle disposizioni di legge e a quelle,
eventualmente, impartitegli. La stabile mancanza, nei luoghi di lavoro, di una
struttura, che rendesse agevole e sicura l'attività da svolgersi sotto il piano
di campagna, costituiva, secondo l'impugnata sentenza, conseguenza
dell'insufficienza del cantiere, addebitabile al datore di lavoro, non certo al
preposto.
4. Il ricorso del difensore dell'imputato avverso la prefata sentenza consta di
tre motivi. Con il primo, si deduce inosservanza e/o erronea applicazione degli
artt. 590, comma 3, cod. pen., e vizio di motivazione con riferimento alla
mancata attribuzione della responsabilità in capo al preposto ed alla ritenuta
sussistenza dell'elemento psicologico della colpa in capo al V.M.G.. Il Piano di
Sicurezza redatto dalla V.M.G. s.r.l. in data 08/05/2013 non solo aveva previsto
il rischio di caduta di materiali dall'alto ma aveva, altresì, stabilito una
specifica procedura operativa relativa alla pulizia ed allo sgombero dei
materiali dalle aree di lavoro, comunicata a tutti i lavoratori. Con questa si è
espressamente imposto l'obbligo di ripulire i luoghi di lavoro da ogni materiale
presente, prescrivendo uno specifico obbligo di vigilanza in capo a preposti,
cui è stato demandato il controllo delle aree di lavoro al termine di ogni
turno. Il datore di lavoro ha infatti nominato dei preposti, come da elenco
contenuto nell'allegato IV del Piano di Sicurezza, i quali possono essere anche
capisquadra, in ossequio alla definizione di preposto ex art. 2, d.lgs. 81/2008.
L'impugnata sentenza si rivela manifestamente illogica e carente di motivazione
con riguardo alla asserita scarsa illuminazione della zona di lavoro, stanti le
dichiarazioni sul punto del consulente tecnico della difesa e di uno dei tre
operai coinvolti nell'intervento in questione; manifestamente illogica laddove
ritiene che la sorveglianza prevista dal Piano di Sicurezza avrebbe
necessariamente imposto la "costante presenza nel corso delle lavorazioni sotto
il piano di campagna di altro personale impiegato solo in tale compito. In
realtà, l'obbligo di sorvegliare l'area di lavoro gravava unicamente in capo al
preposto cui il Piano di Sicurezza aveva completamente demandato il controllo
delle aree di lavoro al termine di ogni turno. Non ha, pertanto, alcun senso
valutare necessaria l'assunzione di "altro" personale precipuamente preposto
alla "sola" sorveglianza, dato che il Piano di Sicurezza aveva demandato tale
onere al preposto. Né mai il V.M.G. era venuto meno ai suoi doveri di formazione
e informazione ai lavoratori. Con il secondo motivo, si eccepisce inosservanza
e/o erronea applicazione dell'art. 131-bis cod. pen. e vizio di motivazione al
riguardo. In particolare, si osserva che solo le lesioni gravissime (e non
gravi, come nel caso di specie) sono ostative all'applicabilità dell'anzidetta
norma. Con il terzo motivo, si lamenta inosservanza e/o erronea applicazione
degli artt. 62-bis e 590, comma 3, cod. pen., nonché vizio di motivazione con
riferimento al trattamento sanzionatorio sotto due profili, quello della
quantificazione del minimo della pena e quello del mancato riconoscimento delle
circostanze attenuanti generiche. In ordine al primo profilo, osservato che la
pronuncia di primo grado riportava nel dispositivo la condanna dell'Imputato a 3
mesi tre di reclusione, mentre nella motivazione aveva evidenziato la volontà
del giudice di irrogare la sola pena della multa, si sostiene che la Corte
distrettuale abbia completamente omesso di motivare l'applicazione di una pena
(pecuniaria) pari al doppio del minimo edittale di euro 500 previsto dall'art.
590, comma 3, cod. pen., nonostante l'espressa richiesta della difesa in tal
senso e nonostante il Tribunale di Taranto avesse comminato, nel dispositivo, la
reclusione di mesi tre, corrispondente al minimo edittale della pena detentiva.
Quanto al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche si
censura, in particolare, l'apparenza della motivazione.
Diritto
1. Il ricorso è fondato e meritevole di accoglimento.
2. I presupposti giuridici da cui parte il ragionamento della sentenza impugnata
sono erronei per avere questa omesso di valutare adeguatamente l'ambito delle
singole e rispettive posizioni di garanzia, id est del datore di lavoro e del
preposto.
3. In tema di reati colposi, la giurisprudenza di legittimità ha precisato che
l?obbligo di prevenzione gravante sul datore di lavoro non è limitato al solo
rispetto delle norme tecniche, ma richiede anche l?adozione di ogni ulteriore
accortezza necessaria ad evitare i rischi di nocumento per i lavoratori, purché
ciò sia concretamente specificato in regole che descrivono con precisione il
comportamento da tenere per evitare il verificarsi dell?evento [Sez. 4, n. 5273
del 21/09/2016 (dep. 03/02/2017), Ferrentino e altri, Rv. 270380). La
responsabilità per colpa, infatti, non fonda unicamente sulla titolarità di una
posizione gestoria del rischio (sulla quale Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014,
Espenhahn e altri, in motivazione) ma presuppone l?esistenza - e la necessità di
dare applicazione nel caso concreto a - delle regole aventi specifica funzione
cautelare, perché esse indicano quali misure devono essere adottate per impedire
che l?evento temuto si verifichi [Sez. 4, n. 12478 del 19/11/2015 (dep.
24/03/2016), Barberi e altri, Rv. 267813]. Dovere di diligenza e regola
cautelare si integrano definendo nel dettaglio il concreto e specifico
comportamento doveroso; ciò assicura che non si venga chiamati a rispondere
penalmente per la sola titolarità della posizione e pertanto a titolo di
responsabilità oggettiva.
4. Nel caso che occupa, la Corte distrettuale ha affermato la responsabilità
penale del ricorrente su mere petizioni di principio e, in quanto tali, del
tutto avulse dall'accertamento del nesso di causalità tra l'asserita condotta
omissiva del datore di lavoro e l'infortunio occorso al lavoratore. La sentenza,
invero, si limita ad assumere che i luoghi di lavoro fossero stabilmente privi
di ogni struttura che rendesse agevole l'attività da svolgersi sotto il piano di
campagna, deducendone una prassi in violazione in violazione del piano di
sicurezza aprioristicamente ritenuta diretta conseguenza dell'insufficienza del
cantiere medesimo, non addebitabile al preposto.
Nessun dubbio che, alla luce della normativa prevenzionistica vigente, sul
datore di lavoro gravi l?obbligo di valutare tutti i rischi connessi alle
attività lavorative e attraverso tale adempimento pervenire alla individuazione
delle misure cautelari necessarie e quindi alla loro adozione, non mancando di
assicurarsi che tali misure vengano osservate dai lavoratori. Ma nella
maggioranza dei casi la complessità dei processi aziendali richiede la presenza
di dirigenti e di preposti che in diverso modo coadiuvano il datore di lavoro. I
primi attuano le direttive del datore di lavoro organizzando l?attività
lavorativa e vigilando su di essa [art. 2, co. 1, lett. d) d.lgs. 81/2008]; i
secondi sovrintendono alla attività lavorativa e garantiscono l?attuazione delle
direttive ricevute, controllandone la corretta esecuzione da parte dei
lavoratori ed esercitando un funzionale potere di iniziativa [art. 2, co. 1,
lett. e) d.lgs. n. 81/2008]. Pertanto, già nel tessuto normativo è previsto che
il datore di lavoro vigili attraverso figure dell?organigramma aziendale che,
perché investiti dei relativi poteri e doveri, risultano garanti della
prevenzione a titolo originario.
Questa Corte ha già affermato il principio secondo il quale, in tema di
prevenzione infortuni sul lavoro, ai fini dell?individuazione del garante nelle
strutture aziendali complesse, quali quella in cui si è verificato l'infortunio
di cui trattasi, occorre fare riferimento al soggetto espressamente deputato
alla gestione del rischio essendo, comunque, generalmente riconducibile alla
sfera di responsabilità del preposto l?infortunio occasionato dalla concreta
esecuzione della prestazione lavorativa, a quella del dirigente il sinistro
riconducibile al dettaglio dell?organizzazione dell?attività lavorativa e a
quella del datore di lavoro, invece, l?incidente derivante da scelte gestionali
di fondo (Sez. 4, n. 22606 del 04/04/2017, Minguzzi, Rv. 269972). Pertanto,
anche in relazione all?obbligo di vigilanza, le modalità di assolvimento vanno
rapportate al ruolo che viene in considerazione; il datore di lavoro deve
controllare che il preposto, nell?esercizio dei compiti di vigilanza
affidatigli, si attenga alle disposizioni di legge e a quelle, eventualmente in
aggiunta, impartitegli. Quanto alle concrete modalità di adempimento
dell?obbligo di vigilanza esse non potranno essere quelle stesse riferibili al
preposto ma avranno un contenuto essenzialmente procedurale, tanto più complesso
quanto più elevata è la complessità dell?organizzazione aziendale (e viceversa).
5. Ciò posto, va detto che, nel caso di specie, l'obbligo di sorvegliare l'area
di lavoro incombeva direttamente al preposto, deputato a governarne gli
specifici rischi. L'infortunio, invero, era per l'appunto occasionato dalla
concreta esecuzione della prestazione lavorativa. In conseguenza, nessun
rimprovero può essere mosso al datore di lavoro, atteso che egli aveva redatto
un Piano di Sicurezza e nominato i preposti e che il medesimo Piano aveva
previsto il rischio di caduta di materiali dall'alto e stabilita una specifica
procedura operativa relativa alla pulizia ed allo sgombero dei materiali dalle
aree di lavoro, comunicata a tutti i lavoratori, stabilendo uno specifico
obbligo di vigilanza in capo ai preposti, cui era demandato il controllo delle
aree di lavoro al termine di ogni turno.
6. In conclusione, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio
perché il fatto non sussiste.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste. Così
deciso il 10 settembre 2019
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